FIABATERAPIA UN CASO CLINICO DI ALOPECIA
Al tempo del primo colloquio Giovanni è un uomo di 33 anni, geometra, non sposato. Il problema che lo ha indotto a chiedere una terapia psicosomatica è una grave alopecia: una improvvisa caduta di capelli a zone, verificatasi negli ultimi sei mesi. La caduta era iniziata in modo abbastanza graduale, partendo da piccole chiazze qua e là, che avevano rapidamente preso a moltiplicarsi e ad espandersi, fino a divenire quello che Giovanni ora chiama un “crollo continuo”, una “catastrofe ecologica”.
Per quanto riguarda altri disturbi, Giovanni aveva sofferto mesi prima di eczemi alle mani, che comparivano e scomparivano, indipendentemente da ogni terapia, “delle macchie rosse e brucianti che erano apparse giusto al tempo dell’inizio della caduta dei capelli, ma che erano scomparse da sole in una ventina di giorni.
Negli ultimi anni Giovanni aveva sofferto anche di alcuni episodi di “assenza”, che avevano fatto sospettare ai medici un’epilessia. Dagli esami dei tracciati cerebrali erano risultate alterazioni molto lievi, che non avevano permesso una diagnosi precisa. Giovanni era stato comunque trattato con farmaci leggeri e gli episodi di assenza erano diminuiti.
Nel periodo della comparsa degli eczemi alle mani e delle prime aree di alopecia aveva avuto anche degli episodi di vertigine, che lo avevano molto spaventato. Dice Giovanni: “Era come se si alzasse un vento che mi portava via, un vento dentro la testa”. Successivamente erano diminuiti in frequenza, ma sono tuttora presenti di tanto in tanto.
Nell’ultimissimo periodo Giovanni ha anche sofferto di difficoltà di erezione, non gravi, ma che si erano aggiunte a un calo costante del desiderio sessuale verificatosi nel corso degli ultimi anni.
La famiglia d’origine di Giovanni è composta dal padre, dalla madre e da una sorella dei sei anni minore di lui.
La madre è descritta come una donna piuttosto fredda e distaccata, molto controllata e organizzata, che ha sempre cercato di tenere il figlio chiuso tra le pareti domestiche. “Un’esistenza certo molto comoda”, dice Giovanni, “in casa tutto filava a meraviglia, elegante, lustro e ben organizzato, ma la vera vita era fuori da lì”.
Comunque non ricorda di avere mai avuto scontri particolari con i familiari, e si sente abbastanza a suo agio nell’ambiente domestico.
Il padre è molto spesso assente. Giovanni non cita la sua figura come molto significativa per lui dal punto di vista affettivo, ma piuttosto come punto di riferimento morale. Il padre è molto stimato nel suo ambiente come una persona pacata, a cui tutti chiedono consiglio.
Con la sorella ha rapporti buoni, ma estremamente superficiali: data la differenza di età non hanno mai avuto interessi comuni.
Della sua infanzia ricorda di essere stato un bambino molto vivace ed esuberante, sempre rimproverato perché aveva “il fuoco vivo addosso”, come diceva la madre.
“Poi, dal tempo della scuola in poi, ho dovuto imparare a controllarmi e sono diventato sempre più chiuso. Ormai saranno dieci anni che non do in escandescenze.”
Altro che “escandescenze”: fin dal primo colloquio Giovanni si presenta come estremamente controllato, fin troppo: ha difficoltà a esprimere le proprie emozioni e anche a entrare in contatto con esse.
Dice che è da quando era ragazzo che non piange, né si arrabbia, nè alza mai la voce. Soprattutto negli ultimi anni, da quando ha iniziato a lavorare nello studio del padre, ha assunto un atteggiamento sempre più serio e riservato, escludendo ogni manifestazione emotiva. Terminati gli studi Giovanni aveva lavorato per un periodo all’estero, poi era rientrato in Italia e aveva preso il posto del padre, intenzionato a ritirarsi e fare solo da sporadico consulente nello studio.
La sua vita si era sempre più concentrata sul lavoro a esclusione di ogni altra attività.
Un tempo andava spesso in montagna, amava stare all’aria aperta, passeggiare nei boschi e aveva praticato l’alpinismo con vero entusiasmo. Ormai non esce più dalla città da tempo.
Da tre anni ha una relazione stabile con una ragazza e si sta orientando verso il matrimonio. La ragazza mi viene descritta come intelligente e posata, ma molto poco passionale. Sotto certi aspetti gli ricorda la madre. La loro è una relazione tranquilla, che non ha mai presentato gravi problemi, ma che sente molto carente dal punto di vista sessuale.
Qualche tempo prima, circa otto mesi prima, Giovanni aveva avuto una relazione sentimentale che dice: “ha rischiato di sconvolgere la mia vita”. Era andato a fare un allenamento di una settimana in montagna con gli ex compagni di alpinismo. Il cattivo tempo aveva impedito le scalate previste e l’allenamento si era trasformato in una serie di passeggiate nei boschi. Nel gruppo c’era una ragazza che si occupava di erboristeria. Tra loro era subito nata una relazione estremamente appassionata e coinvolgente, anche dal punto di vista sessuale.
Dice Giovanni: “Avevo pensato di mandare al diavolo tutto, il lavoro, la fidanzata, lo studio di mio padre e di restare per sempre con lei nei boschi. Per fortuna mi sono ripreso in tempo”.
Giovanni si era molto spaventato dell’impetuosità dei propri sentimenti, che rischiavano di sconvolgere il tran-tran ordinato della sua esistenza. Era fuggito precipitosamente, era tornato a casa, aveva ripreso la vita di prima, senza più cercare la ragazza dei boschi che, a quanto gli dicevano gli amici, ne era rimasta distrutta.
Attualmente non vedeva particolari problemi nella sua vita, a parte i sintomi fisici e una certa mancanza di entusiasmo generale, sia sul lavoro che nella vita privata, qualcosa di simile a un notevole calo di energia.
LA FIABA
Riporto la versione integrale della fiaba inventata da Giovanni:
“C’era una volta un Principe che viveva nel suo castello. Il Castello di Vetro. Era una reggia suntuosa, piena di servitori. Di vetro erano le pareti, di vetro le torri. Il principe viveva lì con tutta la sua corte, con i consiglieri e i ciambellani. Ma il Principe si annoiava: l’unico suo svago erano le lunghe corse a cavallo.
Un giorno venne a sapere che dietro alla reggia, dall’altra parte del regno, all’estremo confine del reame, sorgeva una immensa foresta: “la Foresta Stregata”. Era assolutamente proibito a chiunque avvicinarsi.
Il Principe era curioso per natura e così molte volte, di nascosto, si recava a osservare la foresta: era uno spettacolo meraviglioso, una immensa distesa di alberi folti e potenti a perdita d’occhio.
Il Principe desiderava ardentemente andare nella Foresta, ma il Gran Consigliere di corte gli aveva detto che non doveva assolutamente avvicinarsi. Da molti secoli, dal tempo di suo padre e del padre di suo padre, vigeva il divieto: nessuno poteva entrare nella Foresta Magica.
Un giorno il Principe non resistette più alla tentazione e decise di provare a entrare nel bosco. Entrò e il terreno era caldo e morbido sotto i suoi piedi. La terra era calda e coperta di muschio e di rugiada, gli alberi erano rigogliosi e lussureggianti. Così camminò e camminò nel bosco. Era molto piacevole. Ad un certo punto però sentì sussurrare. Era un sussurro appena udibile, che cresceva e cresceva via via che si inoltrava nel bosco e presto divenne un clamore.
Il Principe si accorse pieno di spavento che erano gli alberi a parlare e parlavano e gridavano tutti insieme, in una lingua a lui sconosciuta. Il clamore si fece sempre più forte fino a divenire intollerabile. Gli alberi si muovevano e il principe si accorse con terrore che erano caldi anche loro e che muovevano i rami sfiorandolo con le loro fronde.
Il Principe fu preso dal panico, non reggeva quel tremendo fracasso ed ebbe paura che gli alberi volessero avvinghiarlo e stringerlo, non lasciarlo più uscire di lì e stritolarlo.
Iniziò a correre e correre come un pazzo e chiuse gli occhi per non vedere e le orecchie per non sentire, ma si levò un forte vento che minacciava di sconvolgere tutto.
Il Principe terrorizzato iniziò a colpire gli alberi con le mani durante la sua corsa e come li colpiva gli alberi cadevano e cadevano e lui continuò a correre e a colpire alla cieca ovunque, sentiva che la foresta intorno a lui crollava e il terreno si raffreddava sotto i suoi piedi.
Finalmente riuscì a uscire dalla foresta e a tornare al Castello di Vetro. Trafelato chiuse a chiave il pesante portone e giurò a se stesso che mai e poi mai avrebbe fatto ritorno nella Foresta”
Questa fiaba finisce male o meglio si arresta in un punto senza lieto fine.
Giovanni mi dice che ora nella fiaba tutti sono infelici: il Principe perché è ancora spaventato e chiuso nella reggia fredda; il Consigliere perché è preoccupato per quanto è accaduto; la Foresta perché è quasi distrutta. Ma esiste una sorta di logica concatenazione tra gli eventi che fa sì che le cose debbano essere esattamente come sono: Giovanni non vede alcuna possibile, credibile, soluzione dell’impasse: sente che la fiaba è così e non può andare diversamente.
I DUE MONDI
Nella fiaba possiamo notare una netta frattura tra “due mondi”: il Mondo della Reggia, in cui sono concentrati tutti i personaggi umani (il Principe, il Gran Consigliere e la corte) con la sua vita fredda e ordinata, ma priva di creatività, dice Giovanni: “Nella reggia non crescono fiori… ” e il Mondo della Foresta, con i suoi elementi naturali, tutti dotati di calore e di vitalità, che non seguono una logica razionale (gli alberi si muovono e parlano) e si esprimono in un linguaggio diverso e non comprensibile. ·
Tra i due mondi esiste una distanza e una incomunicabilità, sostenuta da un divieto antico. Il Principe, l’Eroe protagonista, ha cercato di fare da mediatore tra i due regni, dalla reggia è andato alla foresta, ma la mediazione non è riuscita.
Possiamo notare la stessa frattura nella vita reale di Giovanni: da una parte c’è il mondo del lavoro, dei rapporti ufficiali ma freddi, del dovere e delle convenzioni, un mondo strutturato rigidamente e privo di espressioni affettive, e dall’altra c’è il mondo della natura, dei boschi e delle montagne, delle relazioni appassionate, dei sentimenti caldi.
Anche all’interno di Giovanni esiste una frattura tra la sua mente razionale, ben organizzata e molto rigida, una mente che non lascia spazio alle espressioni emotive, e il suo mondo affettivo e sessuale, abbandonato da anni, ritenuto inquietante, pericoloso, da cui stare lontano. .
La Reggia ben organizzata, con le sue mura di vetro freddo, che separano e impediscono il contatto, sembra fornire un’ottima immagine del mondo razionale di Giovanni, mentre la Foresta piena di vita, di colore e di magia, rappresenta simbolicamente il mondo dell’emotività e dell’inconscio.
A livello corporeo l’immagine della Foresta ci dà una rappresentazione simbolica della capigliatura di Giovanni, un tempo folta e rigogliosa e ora devastata dalle aree di alopecia. La fiaba ci fornisce un’esatta trasposizione in immagini dell’evento organico ora in corso: gli alberi cadono, i capelli cadono, Giovanni parla di “catastrofe ecologica”, la foresta è semidistrutta, la terra si raffredda, la “linfa terrestre” non giunge più agli alberi, come la circolazione sanguigna non alimenta più i bulbi piliferi.
Esiste una analogia simbolica tra l’immagine dell’albero che sale dalla terra verso l’alto, quella del capello che si erge sul capo e quella di un pensiero che emerge dall’inconscio alla luce della coscienza.
Quando il Principe è andato nella foresta è stato preso dal panico: gli alberi si muovevano e parlavano. Anche quando Giovanni si è avvicinato alla sua parte affettiva più passionale e sessuale, in occasione della relazione con la ragazza dei boschi, è stato preso dal panico ed è fuggito.
Gli alberi parlano una lingua sconosciuta, Giovanni da tempo disabituato a mettersi in contatto con le sue parti più profonde, non ne sa comprendere il linguaggio. D’altra parte gli alberi della fiaba parlano troppo e troppo forte, come anche le parti emotive di Giovanni, da troppo tempo trascurate, ribollono turbinosamente nell’inconscio.
II Principe della fiaba teme che gli alberi lo avvinghino, che la Foresta lo ingoi. II terrore di Giovanni, quando si è messo in contatto con il proprio inconscio e le sue pulsioni, è stato proprio quello di esserne travolto e distrutto.
Vediamo l’esatta cadenza degli eventi:
- Il Principe viveva chiuso nella sua fredda reggia e Giovanni ci dice che, da anni, si era sempre più chiuso e raffreddato emotivamente. La frattura tra Reggia e Foresta è qui totale.
- A volte il Principe usciva dalla Reggia e se ne andava a cavallo. Giovanni soffriva di quegli strani episodi di assenza mentale, come se ogni tanto la sua mente razionale avesse dei black out.
- Poi il Principe va nella Foresta, all’inizio gradevole, calda e accogliente. Giovanni si concede una relazione coinvolgente ed entra in contatto con le sue parti affettive più calde
- La Foresta si agita e parla e il Principe si spaventa. Giovanni teme di essere travolto dal contatto con il mondo affettivo interno ed esterno: “quella relazione rischiava di sconvolgere la mia vita”, “sentivo che stavo perdendo la testa” e anche lui si spaventa.
- Il Principe fugge e si chiude gli occhi e le orecchie. Giovanni tronca precipitosamente la relazione e cerca di cancellare ogni ricordo.
- Nella Foresta si alza un forte vento che rischia di sconvolgere tutto. Giovanni inizia ad avere delle crisi di vertigine di cui parla come di un ‘vento nella testa’. II vento è simbolicamente legato al cambiamento, alla trasformazione, al ribaltamento delle cose.
- Il Principe inizia a colpire gli alberi con le mani. Giovanni presenta una strana “dermatite da contatto” sui palmi delle mani. Quelle macchie rosse e brucianti assomigliano proprio alle escoriazioni che si farebbe una persona che iniziasse a colpire degli alberi all’impazzata… Simbolicamente delle macchie rosse e brucianti che emergono sulla superficie cutanea, possono fare pensare a un fuoco interno di passioni, che cerca una strada per affiorare attraverso la pelle del corpo, visto che Giovanni sta ormai impegnando tutta la sua volontà per impedire che quei contenuti affiorino alla coscienza del suo Io mentale.
- Gli alberi cominciano a cadere precipitosamente. Giovanni comincia a perdere i capelli e contemporaneamente cerca di eliminare dalla sua mente i pensieri, ricordi e fantasie, che potrebbero mettere in crisi l’ordinato svolgersi della sua vita.
La correlazione tra gli elementi della fiaba e quelli della realtà potrebbe sembrare talmente chiara da essere facilmente afferrabile da chiunque. Ma non da Giovanni. Giovanni sembrava non accorgersi minimamente delle somiglianze tra la fiaba da lui inventata e la sua storia personale.
Aggiungo un’osservazione a proposito del Femminile. In questa fiaba non compaiono delle figure femminili umane. Abbiamo però due rappresentanti simbolici del Femminile che nella fiaba di Giovanni sono opposti tra loro: la Reggia e la Foresta.
Da un lato c’è la Reggia: contenitore, utero, casa, ambiente protettivo, rassicurante, ma gelido. Ricordiamo le parole di Giovanni a proposito sia di sua madre che della sua casa di origine: “è fredda, distante, ma molto ben organizzata”. “La vera vita scorreva fuori da casa”. La donna che Giovanni si è scelto come fidanzata ricalca lo stesso modello femminile: ben organizzata, molto fredda e mentale. Dopo l’esperienza in montagna Giovanni era ritornato precipitosamente a casa e secondo le sue parole: si era “rinchiuso” nel rapporto di coppia.
Dall’altra parte c’è la Foresta: simbolo di un Femminile ben più antico, naturale, vitale, caldo, ma anche inquietante e potenzialmente divorante. L’immagine si collega simbolicamente a un aspetto ancestrale del femminile, dell’inconscio, della materia in generale e dell’organico corporeo.
Il Gran Consigliere della fiaba sembra fungere da immagine paterna, ma non come figura affettiva ma piuttosto come figura indicatrice delle norme sociali, delle convenzioni e dei divieti del Super-io.
Nella fiaba mancano sia la figura del Re che della Regina, pur essendo il protagonista ancora un “Principe”.
Il Giovanni della realtà ha percepito sia suo padre che sua madre come “affettivamente assenti”. Non ha immagini positive solidamente strutturate della figura materna e paterna. E non si è ancora assunto pienamente un ruolo Maschile in rapporto a un Femminile: con la fidanzata vive una sorta di prolungamento della relazione con la madre.
I PERSONAGGI DELLA FIABA RACCONTANO
A questo punto chiedo a Giovanni di dare vita, con l’immaginazione, ad ognuno dei Personaggi della fiaba e di raccontare la storia dal loro punto di vista.
La foresta
La Foresta era incantata perché una Strega cattiva aveva lanciato su di essa un Maleficio. Un tempo era una normale felice foresta: tutti gli abitanti del regno ci andavano a passeggiare, i bambini a giocare, i vecchi a riposare all’ombra delle grandi piante e tutti erano contenti. La Strega era una vecchiaccia sterile e crudele che, invidiosa di tanta felicità, un giorno lanciò una maledizione: “Che nessuno possa più avvicinarsi alla foresta!”. Quando il Principe era entrato nella foresta gli alberi avevano tanto vociato perché da secoli non potevano più parlare con nessuno. Ognuno voleva raccontare la sua storia al Principe e tutti insieme volevano parlargli dell’incantesimo. Avevano cercato di accarezzarlo con le fronde, perché da secoli non potevano più toccare nessuno e forse sì avevano cercato anche un po’ di trattenerlo, ma era perché la leggenda diceva che se un Principe valoroso avesse avuto il coraggio di passare un’intera notte nella Foresta senza fuggire, o senza impazzire di paura, l’Incantesimo si sarebbe sciolto e tutto sarebbe tornato normale. Quello che desideravano gli Alberi era che il Principe li ascoltasse e li liberasse dal maleficio.
Il Gran Consigliere
Il Gran Consigliere è molto preoccupato per l’accaduto, teme qualche altro pericolo, teme che il Principe infranga ancora il divieto e qualche disgrazia possa riversarsi sul regno. Lui in realtà vuole solo che le cose procedano con ordine e tranquillità. Il comando di non entrare nella Foresta si tramanda dal padre di suo padre, lui non ne sa il motivo, non se lo è mai chiesto, né gli interessa. Lui non discute gli ordini, cerca solo di farli rispettare per evitare danni, dal canto suo cercherà di scoraggiare in ogni modo il Principe a tornare nella Foresta.
Il Principe
Il Principe si sente totalmente bloccato: non può andare nella Foresta perché teme di impazzire per il rumore o di esserne inghiottito, però lo desidera molto e gli si spezza il cuore a pensare che non potrà mai più tornarci. D’altra parte non sopporta neppure il pensiero di restare per sempre rinchiuso nella Reggia a morire di noia. È molto infelice e non sa proprio cosa fare, non ha più voglia di fare nulla e passa le sue giornate a tormentarsi, chiuso nella sua stanza.
La reggia
La reggia è abbastanza indifferente. È un po’ stufa di essere così fredda e spoglia, vorrebbe qualche fiore alle finestre, qualche pianta qua e là, ma d’altra parte chissà forse le piante la sporcherebbero, togliendole il suo cristallino perfetto splendore. Nel complesso non prende molto a cuore la vicenda.
LO STALLO
Giovanni continua a non riferire assolutamente la fiaba raccontata a se stesso. Così può parlare liberamente di tutti i personaggi della fiaba e delle loro reazioni: ne parla con molta spontaneità, cosa che non farebbe se gli eventi della fiaba venissero collegati alle sue vicende personali poiché scatterebbero i suoi meccanismi di difesa.
Sebbene Giovanni non colleghi la fiaba alla sua situazione, la carica di emotività e di angoscia che prova per l’impossibilità di trovare un lieto fine a questo racconto è spiegabile solo se riferita a dei problemi che lo riguardano.
Le reazioni emotive che presenta, cercando una soluzione alla fiaba, sono esattamente quelle che proverebbe cercando una soluzione alla sua situazione reale: questo mi conferma che quella fiaba non è in realtà una qualunque fiaba, ma “la sua fiaba”, la fiaba della sua vita attuale.
Non esiste possibilità di alcuna forzatura artificiosa della situazione immaginaria: Giovanni avverte come falsa, e non credibile, qualunque soluzione “logica” ma non “sentita” gli si presenti alla mente.
“Certo che il Principe potrebbe non avere paura e passare la notte nella foresta e tutto si risolverebbe… “, mi dice, “ma non è vero, non è possibile, lui ha paura!”
Intanto avvengono dei cambiamenti nel comportamento reale di Giovanni: è molto inquieto, emergono degli spunti critici sulla sua condizione di vita attuale, ma ancora estremamente contraddittori e confusi.
NUOVO FINALE DELLA FIABA
Un giorno Giovanni arriva in seduta portando una nuova soluzione della fiaba.
“Il Principe si addormenta una notte, dopo una giornata di travagli e sogna. Sogna un Angelo che gli compare dinanzi e gli parla. Gli dà un Unguento Magico: una piccola ampolla preziosa con dentro un liquido denso e profumato. Gli dice di spalmarsi quell’unguento sulle orecchie e lo proteggerà dal clamore della foresta, di spalmarsi quell’unguento sul corpo e lo proteggerà dalla stretta del bosco. Così nulla lo potrà danneggiare. Il Principe si sveglia al mattino e si trova tra le mani la piccola ampolla.
Decide di tentare. Va nella Foresta. Si spalma l’Unguento Magico sulle orecchie e sul corpo. Sente le orecchie farsi morbide e si accorge con stupore che riesce a intendere il linguaggio degli alberi. Quando il clamore è troppo forte stende ancora un po’ del magico unguento sulle orecchie il clamore si attenua e le voci si fanno più nitide. Gli alberi non lo afferrano più con le fronde, lo sfiorano appena toccandolo con dolcezza.
Il Principe si siede e ascolta i discorsi degli alberi e poco a poco ne viene a conoscere tutta la storia. Il Principe ritorna ogni giorno nella foresta e ogni giorno ascolta i racconti delle piante, il clamore si fa sempre meno intenso, anzi ormai è un discorrere allegro e vivace.
Finché un giorno il Principe decide di passare l’intera notte nella Foresta per liberarla dall’Incantesimo.
Lo fa e l’incantesimo è sciolto. Ora tutto il reame può tornare a godere della bellezza del bosco, i bambini riprendono a giocare tra gli alberi, i vecchi a riposare. Solo lui però, ancora e per sempre, riuscirà a capire il bisbiglìo delle fronde e le parole degli alberi.”
In questo caso la soluzione della fiaba proviene da un sogno del Principe, da un contatto positivo con l’inconscio. L’ Angelo può qui assumere molti significati, dalla Guida interiore, al Sé, all’Anima, è comunque l’elemento che permette il passaggio a un livello superiore, in cui è possibile trovare la soluzione, la via d’uscita all’impasse della fiaba.
L’ Angelo dà al principe un Unguento Magico da spalmarsi sulle orecchie che gli permette di capire il linguaggio degli alberi. Quelle “orecchie simboliche” che nella fiaba si erano chiuse, insieme agli occhi, per escludere i contenuti inconsci ora si “ammorbidiscono”, si riaprono, si fanno capaci di in tendere il linguaggio dell’inconscio.
L’ Unguento Magico nella fiaba serve anche a proteggere la pelle del Principe, “pelle psichica”, la pelle dell’Io, rendendola immune dal potere divorante dell’inconscio.
Il Principe può ora entrare nella Foresta senza temere di esserne inghiottito. Giovanni può ora “prestare orecchio” alle esigenze del suo proprio inconscio, senza temere di venirne travolto. Più il Principe ascolta, più il clamore degli alberi si placa. Più Giovanni riesce a comprendere, accettare e integrare i contenuti emergenti dal suo inconscio e più la tensione interiore si acquieta.
Il Principe riesce a passare una notte nella Foresta e l’incantesimo si scioglie. Il terna della notte da passare nella foresta o nel castello stregato è un terna ricorrente nelle fiabe. Simbolizza la morte e la rinascita, l’affondare nell’inconscio e riemergerne incolume e arricchito. ,. . . .
È lo stesso grande tema simbolico dell’inghiottimento di Giona nel ventre della balena o della morte e resurrezione di Cristo. L’Eroe delle fiabe entra nell’inconscio, rappresentato dalla foresta o dal castello stregato, dal fondo del mare o dalla notte oscura, muore in esso e rinasce con il giorno, vivificato, sciogliendo così se stesso e il femminile in lui, la sua Anima, dai vincoli dell’incantesimo malefico.
Nella fiaba di Giovanni si opera infine una riunificazione tra i due Mondi, tra i due luoghi del reame: la Reggia e la Foresta. Ora si può di nuovo circolare dall’uno all’altro senza pericolo, l’intero regno ne trae vantaggio e il Principe può godere di entrambe: rappresentavano simbolicamente le aree un tempo separate di Giovanni: la ragione e gli affetti, la coscienza e l’inconscio.
LA REALTA’
Giovanni trasforma in parte la sua attività lavorativa, dedicando più tempo a dei piani di ricerca e di misurazione dei terreni all’aperto. Riprende a fare l’attività fisica a contatto con la natura: le camminate nei boschi e l’alpinismo che gli piacevano tanto. Conclude la relazione ormai esaurita con la fidanzata e in seguito si lega a un’altra donna in un rapporto più maturo e completo.
La sintomatologia fisica recede gradatamente. Nel periodo di maggior confusione compaiono ancora degli episodi di vertigine, sporadici e di breve durata, e poi scompaiono del tutto. Gli eczemi e le macchie rosse sulle mani non sono più ricomparsi. La ricrescita e il rinfoltimento dei capelli sono continuati fino al recupero dei livelli precedenti alla caduta massiva. La capigliatura di Giovanni ha ripreso l’aspetto che aveva prima dell’alopecia… magari con qualche di filo d’argento in più: l’età non è una malattia.
Paola Santagostino
Per contattare l’autrice:
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3755113675
Questo caso clinico è tratto dal libro “Guarire con una fiaba” di Paola Santagostino Edizioni Universale Feltrinelli.
Dott.ssa Paola Santagostino: Psicologa, Psicoanalista e Psicoterapeuta specializzata in Medicina psicosomatica conduce Corsi di fiabaterapia e incontri individuali.